Io e Paolo abbiamo passato otto mesi tra ospedale e cure domiciliari. Ho incontrato tante persone gentili e pronte ad aiutarci, alcuni e non pochi indifferenti totalmente alla nostra tragedia e mi chiedo perché facciano ancora il lavoro di Dottore. Non fanno bene agli altri ma nemmeno a loro. Tante cose che non funzionano, altre si’ ed alcune solo grazie all’impegno di chi ci crede. Poi quando tutto è precipitato siamo stati fortunati ed entrati in un Hospice. Pensavo che il reparto di Cure Palliative fosse l’anticamera della morte, dove vi fosse solo silenzio e rumori di macchinari, che a volte venivano spenti perché il paziente era deceduto. La prima Dottoressa che ho incontrato guardandomi negli occhi e presentandosi ha iniziato subito a visitare mio marito. Dopo mi ha spiegato tutto per più di un’ora , con umanità toccante . Mi sono sentita una persona cosa che prima mai era successo. Una persona che sta’ soffrendo. La sua dolcezza mi ha fatto piangere perché mi sono sentita protetta, sicura che per il mio Amore avrebbero fatto tutto il possibile, e così è stato.
Ora passati anni mi ritrovo spesso a pensarla, penso a chi non è stato fortunato come noi, alla distanza stellare tra la realtà ospedaliera e quella dell’ Hospice. Non ci trovo senso nessun senso o motivo
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