lo impari man mano che vivi e quando non lo fai ci pensa la vita ad insegnartelo. Per motivi familiari e non per mia volontà, mi sono ritrovata ultimamente di nuovo a frequentare l’ambiente ospedaliero. Non nego la fatica che ho fatto, penso sia successo a molti di voi di provare quel forte desiderio di non tornarci per lungo tempo dopo aver vissuto esperienze dolorose. È un rifiuto naturale a tutto ciò che ti ricorda ancor più quello che hai vissuto, subito e che soffri ancora. Cambiano i reparti, i visi che incroci, ma i discorsi rimangono circa gli stessi. Pazienti che si lamentano tra loro di quello che non funziona. I rispettivi parenti che brontolano e si confrontano, ma pochi, anzi direi praticamente quasi nessuno, che esterna la propria insoddisfazione. Questo succede nelle piccole ed anche nelle grandi mancanze che si vivono, e questo è uno dei motivi per cui continua ad esserci poca attenzione per la dignità umana, in luoghi invece in cui dovrebbe esserci in ogni aspetto, fisico e morale di ogni storia di ogni singolo paziente. Un tempo era mio pensiero che le Istituzioni ed i Quotidiani  non si interessassero a questioni riguardanti prettamente le problematiche umane che si vivono in situazioni di malattie, di sofferenza. Ci credevo perché ero convinta che fosse loro scopo principale salvaguardare i propri interessi, politici e non. Invece ho dovuto ricredermi e continuo a farlo e purtroppo continuo pure a  stupirmi nell’ascoltare storie drammatiche di ingiustizie subite ma mai rese pubbliche, mai esternate palesemente. Ma se tutti coloro che ne sono stati vittime o spettatori impotenti non fossero rimasti nell’ombra? Sicuramente sarebbe cambiato anche il semplice approccio che ci viene dedicato durante un colloquio per informarsi sulla situazione del nostro caro ricoverato. Come me molti hanno riscontrato poco rispetto non solo per il malato ma pure per chi lo assiste. Penso sia dovuto dal fatto che passata la porta che ci porta fuori da quella triste realtà, sia che ci sia stata una guarigione e quindi la relativa dimissione, sia che sia avvenuto un trasferimento ad altra struttura o ancor peggio che il paziente sia deceduto, non succede nulla. Nessuno o pochi segnalano, nessuno si indigna pubblicamente di quel che è successo. Rimane mio parere che non si aggiusterà mai la realtà se continuiamo a rimanere inermi, e purtroppo anzi questo permette e permetterà si ripeta nel tempo per altri. Nessun diritto che esercitiamo ogni giorno lo abbiamo ottenuto semplicemente aspettandolo, ma ci sono state persone che hanno lottato per fare in modo che prima fosse definito da leggi scritte e poi venisse quindi applicato. Meritiamo rispetto sia come pazienti che come assistenti del malato e per quello che ho vissuto in prima persona e le testimonianze che continuo a raccogliere ogni giorno, sono sempre più convinta che sta’ a noi esigerlo. Restando in silenzio ed affidandoci alla classica frase “ Che vuoi farci oramai è successo “ non cambierà mai nulla, anzi molto facile che assisteremo ad un peggioramento generale dell’intera situazione  . È nostro diritto essere rispettati, è nostro diritto soffrire il meno possibile, è nostro diritto vivere o veder vivere la malattia con umanità e dignità.