Quello che ho vissuto mi ha talmente segnata che nemmeno la lettura di un quotidiano è più come prima per me. Soprattutto le notizie che riguardano la Sanità e casi ad essa correlati attirano subito la mia attenzione. Ogni articolo è composto da parole, frasi ma è il contenuto che con quasi sempre la sua tragicità intrinseca mi colpisce nell’intimo, nel profondo del mio cuore. Oggi ho letto di Debora, la giovane donna di Marghera che ieri mattina si è spenta all’ospedale di San Donà, dopo venti giorni di coma, venti giorni di Reparto di Rianimazione. E qui’ mi si è quasi gelato il sangue perché ho visto e rivisto una parte della mia storia, delle storie delle persone che erano lì ricoverate assieme alla mia Mamma, vicende che possono capitare a tutti, nessuno escluso. Ogni storia è a se’ per precedenti e svolgimento, certi punti però sono comuni a quasi tutte. La Nuova Venezia scrive e mette l’accento sull’amarezza delle parole pronunciate dal fratello in merito al trasferimento di Debora dall’Ospedale all’ Angelo verso una struttura del territorio vicina. Trasferimento che invece è stato possibile solo verso l’Ospedale di San Donà, distante circa 40 chilometri dall’abitazione della famiglia. Ho trascorso, anzi meglio ho vissuto un mese in quel reparto ed altri due mesi in quello dove poi la mia Mamma è mancata. Sentito e visto tanti discorsi, tanti atteggiamenti che ancora oggi mi risultano inspiegabili e capisco pienamente chi non riesce ad accettarli, ma come sempre nel gioco- forza vi si trova a subirli. Confido che sto’ veramente male al pensiero di questa giovane donna in balia dei cosiddetti trasferimenti ospedalieri e soffro pensando a quello che hanno provato, provano e proveranno le persone che la amano veramente. Ricordo con amarezza quando ogni giorno si prospettava la richiesta di trasferimento della mia Mamma, perché di questo i Dottori saranno anche obbligati come loro stessi sostengono a disporre perché il sistema lo impone, però vi assicuro sono bravissimi e soprattutto ricchi di spiegazioni quando ti parlano di questi viaggi, così li possiamo chiamare, dei quali  logicamente tu non vedi necessità e senso. Stiamo parlando di persone in grave pericolo di vita, anzi gravissimo. Da una parte, tranquillamente, ti comunicano che ogni giorno è possibile che il tuo caro muoia. Dall’altra ti prospettano questi cambiamenti di struttura e tu attonito resti senza parole, perché il dolore e la sofferenza che stai vivendo ti toglie forza e voglia di vivere, anche quella di reagire. Però se tu conoscessi qualcuno forse si potrebbe evitare il tutto… Anche questo trovi e troverai chi te lo ventilerà in mezzo al proprio discorso, come una possibile soluzione. Io ci soffro ancora e anche se la situazione è stata diversa dalla nostra comprendo la rabbia di chi ha assistito con amore la giovane Debora. Pazienti più o meno gravi, il tuo caro trasferito a destra e a manca come un pacco postale. Tu che ti preoccupi per le incognite del percorso che dovrà sostenere, per la nuova struttura che vi accoglierà, chissà come sarà in merito all’efficienza. Tu che tra tanto soffrire ti senti schiacciato e quasi inebetito di fronte al cambiamento che si prospetta. Quindi alla tragedia che stai vivendo si aggiunge pure questo carico che ti obbligano a portare… a sopportare! Ti chiedi che senso ha. Unica  risposta che sono riuscita a darmi è che vi sia realmente una specie di mercato, un considerevole guadagno per le Direzioni delle strutture sanitarie coinvolte. Perché specialmente in casi come questo disperati non vi puoi trovare una ragione valida.  Questioni economiche, di relativo guadagno, che sfruttano le persone nei momenti più delicati ed indifesi della vita. Umanità e rispetto della dignità altrui soffocate dal potere del dio denaro.