Pure io, come molti altri, ho da subito dato ogni importanza, ogni possibile attenzione alla sofferenza della persona malata, di chi dopo una difficile strada più o meno lunga, più o meno ripida è arrivato alla pace totale, fisica, mentale e spirituale. E coloro che rimangono? In ospedale cercano di curare il paziente, ma chi si prende cura di chi lo assiste, di chi assorbe il suo dolore, di chi si ritrova per lo più impotente dinanzi alla malattia di chi ama? Solamente le Cure Palliative hanno questa importantissima attenzione, solo quelle Cure che ancor oggi sono poco conosciute e difficilmente applicabili nella quasi totalità delle strutture ospedaliere. Stiamo parlando dell’altra faccia della sofferenza, di quella che colpisce chi vive in simbiosi con un proprio caro malato, di chi non muore ma che soffrirà per tutta la sua vita per ciò che ha visto e tutto ciò che non ha potuto evitare. È un fatto statisticamente provato che troppa sofferenza abita tra le mura dei nostri ospedali, che ancor oggi poco o niente si fa in merito, che non c’è interesse per alleviare il dolore, soprattutto nelle malattie inguaribili, se non  in rari casi , troppo rari, in cui i medici oltre alle conoscenze scientifiche sono dotati di umanità e compassione. Preoccupante e triste appurare che con tutti i mezzi oggi disponibili per donare una fine umana e dignitosa si soffra troppo inutilmente e per lungo tempo. Sembra quasi che riguardi gli altri e non noi, e non tutti noi, che siamo ineluttabilmente mortali, senza alcuna eccezione.